Il sonno è una condizione naturale che contribuisce a migliorare la nostra salute e il benessere, così come sognare. Si tratta di una condizione del tutto reversibile che consiste nella perdita di coscienza, nella riduzione della risposta agli stimoli che arrivano dall’esterno e in una inattività relativa.

Passiamo circa il 30% della nostra vita dormendo e il ciclo sonno-veglia è importante per evitare che si generino patologie fisiche e psichiche causate dall’insonnia, come il declino cognitivo o demenza in età media o anziana.

Il riposo e i sogni, però, influiscono anche sulla memoria. In questo articolo analizzeremo in che maniera questo avviene e come questa correlazione è stata dimostrata da studi scientifici.

Il sogno stimola la memoria

La nostra mente archivia ogni giorno diverse immagini che, successivamente, vengono elaborate durante la notte.

Eugen Tarnow, massimo studioso della MLT (Memoria a Lungo Termine) ha speso diversi anni nello studio degli effetti che i sogni hanno sul cervello, effettuando delle registrazioni delle onde celebrali nel corso del sonno.

Dagli esiti delle sue ricerche, Tarnow ha asserito che il sogno ha la potenzialità di stimolare la memoria a lungo termine.

Il cervello, quindi, inizia durante la notte una fase di elaborazione di dati, di informazioni e di ricordi che si trasformano in visioni, che chiamiamo sogni. Tali visioni non sono altro che attività cognitive. Queste sono le basi che hanno spinto Tarnow ad affermare l’esistenza di una correlazione tra sogni e memoria.

Partendo dalle teorie di Sigmund Freud, lo scienziato definisce il sogno come “Struttura della Memoria a Lungo Termine (LTMS)”. Questa teoria ci chiarisce come siano i sogni ad avviare le attività mnemoniche durante la notte, e non l’inconscio come, invece, aveva stabilito Freud.

È chiaro, dunque, da questa ricerca che i sogni e il sonno influiscono sulla rielaborazione e la consolidazione della memoria.

La fase REM del sonno: la fase decisiva per il trattamento delle informazioni

Diversi studiosi hanno dimostrato che l’attività onirica cambia da un soggetto all’altro. Sono due, infatti, le fasi principali, quella Non-REM e quella REM.

Quest’ultima può essere suddivisa in ulteriori 4 stadi che portano, in maniera progressiva, al sonno profondo che è caratterizzato da alcuni elementi specifici: temperatura del corpo più bassa, battito cardiaco rallentato e rilassamento della muscolatura. Inoltre, è in questa fase del sonno in cui fanno la loro comparsa le onde cerebrali con lunghezza maggiore e più lente.

Durante il quarto stadio della fase REM svegliare una persona è molto difficile. Infatti, si tratta del momento in cui il cervello libera gli ormoni della crescita e interrompe la connessione sensoriale con tutto ciò che avviene all’esterno.

È in questa fase che sogniamo e, inoltre, vengono influenzati maggiormente, sia in positivo che in negativo, i processi di memoria. Per quanto riguarda i benefici, questi si riscontrano, secondo le ricerche effettuate da Jenkis e Deallnbach, nel miglioramento dei ricordi del materiale appreso. Ciò avviene se la persona si addormenta tra il termine dell’apprendimento e il momento di controllo, anche conosciuto come sleep effect.

Inoltre, la memoria trae effetti positivi da questa fase anche nei soggetti che non hanno mostrato capacità di memorizzare il materiale appreso subito dopo il risveglio o successivamente a un lasso di tempo in cui sono stati privati del sonno.

Gli studi di Groch e altri colleghi, tra cui Zinke, Wilhelm e Born, hanno approfondito un altro aspetto che collega il sonno REM alla memoria. Si tratta della capacità di questa fase di favorire la rielaborazione emotiva delle informazioni. Questo aspetto consente di ridurre il peso dato alle emozioni negative, favorendo l’immagazzinamento a lungo termine di quelle positive.

Il riposo dopo l’apprendimento favorisce la memorizzazione

Secondo una ricerca dell’Università di Notre Dame negli Stati Uniti, dormire dopo l’apprendimento di nuove nozioni è particolarmente utile per consolidare i dati e favorire la memoria delle informazioni.

Lo studio, condotto Jessica Payne, psicologa di fama mondiale, ha visto protagonisti 207 studenti che avevano un ciclo medio di sonno quotidiano di 6 ore per ogni notte.

I partecipanti sono stati suddivisi in gruppi casuali con il compito di apprendere coppie di termini legati dal punto di vista semantico o del tutto indipendenti. La fase di studio avveniva dalle 9 del mattino alle 21 della sera, con i testi che si svolgevano entro le 12 o le 24 ore successive.

La ricerca si concentrava sulla memoria dichiarativa, quella che ci fa ricordare fatti ed eventi. Questa si può scindere, poi, in memoria semantica ed episodica. I ricercatori, quindi, hanno evidenziato, nella verifica dopo le 12 ore, che la memoria totale degli studenti era maggiore in chi aveva riposato la notte rispetto a chi era rimasto sveglio.

I test effettuati nelle 24 ore successive, lasso di tempo in cui tutti i partecipanti avevano passato una notte di sonno e una giornata svegli, hanno evidenziato che la memoria era superiore in chi aveva riposato poco prima della fase di apprendimento.

Le conclusioni della Payne e del suo team hanno, inoltre, sottolineato come tale influenza del riposo sulla memoria abbia riflessi positivi in particolare su quella dichiarativa.

La qualità del sonno influenza la memoria: il caso specifico delle apnee notturne

Un altro interessante studio del 2014, realizzato da Schönauer e da altri colleghi, ha evidenziato l’influenza della qualità del sonno sul consolidamento della memoria.

In particolare, è stato approfondito un disturbo: l’apnea del sonno. Si tratta di interruzioni che avvengono più volte durante il riposo e che interferiscono sulla memoria a causa di un blocco delle onde cerebrali.

Tale relazione è stata confermata da un ulteriore studio, quello dell’Università di Melbourne in Australia. In questo caso è stata approfondita la relazione delle apnee notturne e memoria autobiografica.

Si è scoperto che questi soggetti mostravano delle problematiche nel ricordare episodi precisi della loro vita. In più, erano più propensi a sviluppare depressione persistente. Le apnee, infatti, interferiscono sulle capacità cerebrali di codificare e consolidare alcuni ricordi di vita. Questo tipo di problematica inficia anche il richiamo al passato.